Negli ultimi anni, l’impegno di oltre 40 governi nel mondo è volto a salvare il pianeta dall’inquinamento atmosferico, incentivando la produzione e quindi la vendita e la circolazione, di auto elettriche. Entro il 2050, data prevista, dovrebbero sparire dalle strade tutti i motori ICE, ossia le macchine con motore a scoppio, meglio definito come motore a combustione interna, inventato nel 1853 dagli ingegneri italiani Barsanti e Matteucci. Il combustibile per il funzinamento di questi motori ICE (Internal Combustion Engine) sono principalmente benzina o diesel e sono ritenuti fra le cause principali dell’inquinamento atmosferico.
Il piano europeo per ridurre la circolazione dei veicoli ICE
Già a partire dal 2035, l’Unione Europea ha bandito produzione di veicoli con motore ICE, e Giappone, Corea del Sud e Canada – così come molti altri Paesi – si sono detti già pronti a fare altrettanto. Le automobili elettriche sono già un discreto numero sulle strade europee: nel 2021 il 18% delle nuove macchine acquistate erano elettriche o ibride. Nel 2022 negli USA, il 5% di veicoli venduti hanno il motore completamente elettrico. È stato stimato, che una volta che queste percentuali saranno intorno al 50%, ovvero se la metà dei veicoli del mondo fosse elettrico, le emissioni di anidride carbonica potrebbero diminuire di oltre una giga tonnellata e mezzo all’anno. Anche la Cina ha deciso di divenire, entro il 2060, un paese “carbon neutral” e per questo è necessario che ogni veicolo che circola per le sue strade sia elettrico entro il 2035.
Produzione di motori elettrici, il rovescio della medaglia!
L’attenzione e l’impegno dei movimenti ecologisti e degli Stati sensibili alla salvaguardia dell’ambiente sono quindi rivolti fortemente in questo senso. Va sottolineato però che tutto questo, per quanto positivo e auspicabile in tempi brevi, ha un risvolto oscuro, in termini di gravi problemi sociale, economici e ambientali, soprattutto per i Paesi produttori di nichel, l’ingrediente principale per la produzione dei motori elettrici e altri metalli a ciò destinati.
Nel deserto di Atacama, il litio viene estratto dalle saline, con conseguente evaporazione dell’acqua e grossi problemi per le popolazioni indigene; stessa cosa accade in Congo, dove per le operazione di estrazione del cobalto utilizzano esplosivi che generano deflagrazioni che sconvolgono l’ambiente circostante, tanto che gli abitanti di quelle zone sono costretti ad abbandonare le loro case e trasferirsi altrove.
È l’Indonesia, lo stato più coinvolto in questa devastazione
Il prezzo da pagare per questa rivoluzione finalizzata alla salvezza del pianeta in termini di ecologia e ambientalismo, è quindi piuttosto alto e al momento lo sta pagando, più di altri, l’Indonesia. Insieme all’Australia, detiene il maggior numero di riserve di nichel della Terra, da decenni, sfruttate nella fiorente industria, alimentata per lo più a carbone, della produzione di acciaio inossidabile. Oggi l’estrazione e la lavorazione del nichel ha subito un’impennata impressionante, proprio per rispondere alla richiesta di questo metallo di transizione necessario per produrre motori elettrici.
L’Indonesia è lo stato-arcipelago più grande al mondo, con più di 17 mila isole, un paradiso fra i più ricchi di biodiversità al mondo, oggi in serio pericolo proprio a causa dell’eccessiva industrializzazione e il conseguente inquinamento idrico e atmosferico, provocato dall’impellente necessità di materie prime – richieste soprattutto dal mercato cinese – per produrre veicoli a motore elettrico.
L’impatto economico e sociale della IMIP di Kurisa
L’esempio più eclatante di questa colonizzazione selvaggia che con l’industrializzazione sta rovinando questo angolo di paradiso terrestre, è senza dubbio a Kurisa, villaggio di pescatori, che si è visto trasformare ambiente, economia e vita dall’avvento della IMIP, imponente complesso estrattivo gestito da una joint venture cinese e indonesiana.
Sorto nel 2013, il parco industriale è in continua espansione: ad oggi ha raggiunto una dimensione di superficie di oltre 4000 ettari, inglobando e di fatto sfrattando i villaggi di Fatufia e Labota. In Indonesia, inizialmente fu introdotta una legge che vietava l’esportazione all’estero dei minerali grezzi. Successivamente i vari governi hanno invece realizzato che poteva trattarsi di un investimento altamente strategico per l’economia nazionale. La IMIP – Indonesia Morowali Industrial Park – impiega ben 66 mila lavoratori, di cui 5000 di nazionalità cinese.
I principali danni dell’inquinamento atmosferico….
Una poderosa deforestazione del territorio, finalizzata alla creazione e alla successiva espansione del complesso IMIP, ha creato non pochi disequilibri nell’ecosistema dell’isola Sulawesi, alla vegetazione – soprattutto costituite da fitte giungle – e dalla fauna selvatica che la abitava e quanto ne consegue per la vita degli indigeni.
Il problema più grande è senza dubbio l’inquinamento da carbone, la principale fonte di energia del parco industriale cino-indonesiano di Kurisa. Le fabbriche di lavorazione del nichel della IMIP emettono nell’aria, sotto forma di particelle minuscole più fini della sabbia, anidride solforosa, ossidi di azoto e ceneri di carbone, tutto altamente dannoso per la salute. La polvere prodotta dal complesso industriale è il principale colpevole di irritazioni cutanee, agli occhi e di gravi infezioni delle vie respiratorie superiori, se inalata. L’inquinamento prodotto dalla IMIP ha causato, fra il 2018 e il 2019, un incremento vertiginoso di queste patologie sugli abitanti di Kurisa e dei villaggi circostanti agli impianti.
… e dell’inquinamento di mare e fonti idriche
Oltre che a problemi sanitari che i residenti lamentano per le condizioni dell’aria che sono costretti a respirare, anche l’inquinamento dell’acqua è un grave danno alla salute e all’economia della zona.
I centri abitati che circondano i grandi stabilimenti industriali della IMIP, erano principalmente villaggi di pescatori, che vivevano di quanto il mare e la terra offriva loro: le tante specie animali marine e le coltivazioni lussureggianti fornivano tutto ciò che serviva per vivere in armonia con l’ambiente.
Ad oggi anche questo equilibrio è stato del tutto stravolto: a causa dei gas di scarico dei sistemi di raffreddamento della centrale a carbone del parco industriale, la temperatura dell’oceano si è alzata, provocando la morte o all’allontanamento di molte specie di pesci. Per non parlare della rete idrica che dovrebbe irrigare campi e piantagioni, che – lamentano gli abitanti di Kurisa – è diventata nera come il carbone.
Sulle isole Molucche, un impianto uguale alla IMIP di Kurisa
Sempre in Indonesia, sull’isola di Halmahera, nelle Molucche settentrionali, gli abitanti di Lelilef Sawai stanno vivendo una realtà molto simile a quella di Kurisa. Qui, nel 2018, è sorto un complesso industriale chiamato IWIP, Weda Bay Industrial Park, molto simile a IMIP. Al momento copre una superficie di 2000 ettari, ma si stima che presto raggiungerà una dimensione più che doppia, pari a 5000 ettari. L’azienda sta facendo difatti molta pressione sugli abitanti perché le cedano i terreni agricoli confinanti, da inglobare nell’area del parco industriale. Anche in questo caso, il governo ha visto una buona fonte di crescita economica della nazione: la IWIP ha assunto 24 mila dipendenti, che diverranno, secodno le stime, oltre 36.000 entro il prossimo anno.
Come a Kurisa, anche qui la popolazione ha sempre vissuto di pesca e agricoltura, ma oggi queste attività centenarie che hanno visto impegnate da sempre generazioni e generazioni di uomini e donne sono a rischio. Con l’arrivo della IWIP, i fiumi Ake Wosia, Ake sabe e Kobe, importanti fonti idriche di sostentamento all’irrigazione e fonti d’acqua dei residenti, risultano altamente inquinati e le foreste di magrovie rase al suo per fare posto al complesso produttivo.
Maggiore consapevolezza e possibili soluzioni, fra promesse e scetticismo
Viste tutte queste problematiche, sembra che i governi coinvolti si sono resi conto di quali siano le conseguenze collaterali sull’ambiente e sugli abitanti, oltre a quello che, inizialmente, era sembrato una buona occasione per la crescita economica dell’Indonesia. La consapevolezza è che, mentre i veicoli elettrici sono una opzione vantaggiosa e rispettosa dell’ambiente, il loro processo di produzione non lo è. Il disegno è quello di riuscire a convertire le fabbriche che ora utilizzano combustibili fossili, con sistemi che sfruttino invece energie rinnovabili, ma la spesa è estremamente onerosa.
Nel caso dell’Indonesia, ad esempio, è stato stimato che sarebbero necessari 37 miliardi di dollari solo per smaltire gli stabilimenti a carbone ai quali aggiungere il costo della realizzazione dei nuovi impianti. Pare che comunque un impegno sia stato preso, in questo senso. Il governo indocinese parla di voler eliminare le emissioni di anidride carbonica entro il 2050 e di convertire tutto sulle energie rinnovabili.
Tutto ciò è stato dichiarato all’ultimo G20 del novembre 2022, a cui hanno partecipato, oltre che il presidente indonesiano Joko Widodo Jokowi e quello degli Stati Uniti Joe Biden, anche rappresentanti di Canada, Giappone e di diverse nazioni europee, sensibili all’argomento. Nonostante queste buone intenzioni gli abitanti indocinesi di queste zone danneggiate dall’industria di lavorazione del nichel, si dicono scettici e sempre più preoccupati per il futuro della loro famiglia e della loro terra.